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2152: Un futuro lontano o una svolta vicina?
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2152: Un futuro lontano o una svolta vicina?

I numeri hanno la capacità di raccontare storie che le parole faticano a sintetizzare.
2152: Un futuro lontano o una svolta vicina?

Quando l’Istituto per la Competitività pubblica che l’Italia raggiungerà la piena digitalizzazione delle PMI nell’anno 2152, siamo di fronte a una di quelle narrazioni che chiede di essere letta oltre la superficie.

Centoventiasette anni per la transizione tecnologica delle imprese. Ottatré per l’intelligenza artificiale. Quattrocentocinquantasei anni per le competenze digitali di base. Numeri che suonano come condanne, proiezioni che trasformano il presente in un lungo, estenuante purgatorio dell’innovazione. Ma le proiezioni lineari hanno un limite intrinseco: fotografano traiettorie, non discontinuità. E il digitale vive di discontinuità.

Un Paese a due velocità

Il rapporto I-Com traccia un quadro a due velocità. Da un lato, infrastrutture in rapida espansione: il 5G sarà realtà diffusa già nel 2025, le reti in fibra raggiungeranno gli obiettivi europei entro il 2028. Dall’altro, competenze digitali che crescono con la lentezza geologica dello 0,2% annuo, PMI ferme al 70,2% di digitalizzazione contro un target del 90%.

Un’Italia che costruisce autostrade ma fatica a riempirle di traffico qualificato. La connettività eccelle, i servizi pubblici digitali avanzano verso il completamento entro il 2027. Ma solo il 17,9% delle imprese offre formazione digitale ai dipendenti, contro una media europea del 22,3%. Gli specialisti ICT rappresentano appena il 4% dell’occupazione totale.

La consapevolezza invisibile

Eppure c’è un elemento che sfugge alle proiezioni puramente matematiche: il 73% degli italiani riconosce nei servizi digitali un vantaggio concreto. Il 60% afferma che la digitalizzazione rende la vita “più facile“, un ulteriore 13% la giudica “molto più facile“. Non è retorica dell’innovazione, è percezione vissuta.

Questa consapevolezza diffusa rappresenta un patrimonio invisibile che nessun rapporto quantifica, ma che costituisce il terreno su cui innestare una discontinuità. Quando la popolazione comprende il valore del digitale, l’adozione accelera. Il problema non è più convincere dell’utilità, ma rimuovere gli ostacoli all’accesso.

Le discontinuità che riscrivono le previsioni

Le tecnologie emergenti non seguono progressioni aritmetiche. L’intelligenza artificiale generativa ha dimostrato come discontinuità tecnologiche possano accelerare l’adozione in modi imprevedibili. Diciotto mesi fa, quanti imprenditori di piccole imprese avevano familiarità con modelli linguistici avanzati? Oggi, strumenti di produttività basati su AI sono accessibili a costi marginali, abbattendo barriere che sembravano insormontabili.

Il quantum computing, ancora ai margini dell’applicabilità industriale, promette di ridefinire i parametri stessi della competitività. Dalla crittografia post-quantistica alla simulazione di processi complessi, si apre uno scenario dove il ritardo accumulato può trasformarsi in opportunità di salto. Chi investe oggi nelle competenze e nelle infrastrutture necessarie può posizionarsi in anticipo sulla curva.

Cybersecurity e certificazioni: l’infrastruttura invisibile della competitività

Le PMI che oggi investono in cybersecurity non stanno semplicemente proteggendo asset esistenti, stanno costruendo la credibilità necessaria per inserirsi in filiere internazionali sempre più selettive. In un’epoca dove ogni supply chain è cyber supply chain, la sicurezza informatica è prerequisito di competitività.

La questione delle certificazioni emerge qui non come burocrazia accessoria, ma come infrastruttura di fiducia. Standard come ISO 27001 sulla sicurezza delle informazioni o ISO 27701 sulla privacy non sono adempimenti formali: sono linguaggi comuni che permettono alle PMI di dialogare con mercati più maturi, di accedere a gare internazionali, di posizionarsi come interlocutori affidabili in ecosistemi complessi.

La certificazione diventa passaporto per mercati che richiedono garanzie verificabili. Non sostituisce la competenza tecnica, la rafforza rendendola riconoscibile e comparabile secondo standard internazionali.

Il gap colmabile

Il divario tra il 70,2% attuale e il 90% target può apparire un abisso. Ma è un abisso che nasconde una realtà segmentata: ci sono settori dove l’innovazione digitale sta correndo, spinta dalla necessità o dalla visione imprenditoriale. Manifattura avanzata, logistica, alcuni segmenti del terziario hanno già attraversato la soglia.

Il problema non è tanto convincere chi ha già capito, quanto accelerare il contagio virtuoso verso chi resta indietro. Servono modelli replicabili, casi d’uso comprensibili, percorsi di adozione graduali che non richiedano rivoluzioni immediate ma permettano evoluzioni sostenibili.

Il pragmatismo per costruire il futuro

Le competenze non si costruiscono con proclami, ma con percorsi di formazione continua integrati nei processi aziendali. Il 17,9% delle imprese che offre formazione digitale è un gap colmabile, non una sentenza. Richiede investimento, certo, ma anche cambio di prospettiva: la formazione digitale non è costo, è asset strategico.

Serve pragmatismo. Non servono narrazioni che promettono trasformazioni istantanee, ma strategie concrete che riconoscano la complessità del tessuto produttivo italiano. Le PMI hanno dimensioni, mercati, capacità di investimento diverse. L’innovazione non può essere monolitica.

La vera discontinuità arriverà quando le infrastrutture eccellenti che stiamo costruendo incontreranno una massa critica di competenze adeguate e una consapevolezza imprenditoriale matura. Quel momento non è necessariamente nel 2152. Può essere molto più vicino.

Il pragmatismo per costruire il futuro

I presupposti ci sono: connettività avanzata pronta nel giro di pochi anni, tecnologie accessibili a costi decrescenti, percezione positiva diffusa del digitale nella popolazione, pressione competitiva crescente che non lascia alternative all’innovazione.

Ciò che manca è l’innesco. Può arrivare da una crisi che costringe all’adattamento rapido, come già accaduto durante la pandemia quando il digitale è diventato condizione di sopravvivenza. Può nascere da incentivi strutturati meglio di quelli visti finora, che non si limitino a finanziare l’acquisto di tecnologie ma accompagnino le imprese nella trasformazione culturale. Può emergere dalla capacità delle nuove generazioni di imprenditori digitali di ridefinire il tessuto produttivo.

Il futuro non è in ritardo

L’anno 2152 è una proiezione, non un destino. Le traiettorie si piegano quando convergono fattori abilitanti, visione strategica e necessità economica. Oggi questi elementi sono presenti, anche se in equilibrio instabile.

Il quantum computing riscriverà le regole della computazione. L’intelligenza artificiale continuerà a democratizzare capacità che fino a ieri richiedevano investimenti proibitivi. La cybersecurity diventerà elemento distintivo di competitività, non solo costo di protezione. Le certificazioni internazionali apriranno mercati che oggi sembrano inaccessibili alle PMI italiane.

Il futuro non è sempre in ritardo. A volte è più vicino di quanto sembri, nascosto dietro il prossimo salto tecnologico, la prossima generazione imprenditoriale, la prossima discontinuità che nessun modello lineare può prevedere. I presupposti per accelerare quella convergenza ci sono già. Manca solo la consapevolezza che il 2152 è un possibile scenario, non un destino da accettare.

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